Gregoretti introduce poi nella rappresentazione della città una qualificazione ulteriore, cercando di presentare Subalpia come lo spazio urbano della modernità grazie al ricorso sistematico alle architetture appena costruite di Italia '61. II palazzo Vela appare fin dalla prima inquadratura del film per definire il paesaggio urbano con particolari disegni architettonici di vetro e cemento. E poi, durante tutto il film, ricompaiono le strutture di Italia '61, dal tracciato sopraelevalo della monorotaia al Palazzo del Lavoro, ad altre inquadrature di palazzo Vela, ripresa anche dall'interno con la sua immensa vetrata. Certo non sono strutture architettoniche paragonabili alle costruzioni delle grandi metropoli della modernità, ma sono pur sempre elementi, immagini che di fronte al panorama architettonico italiano così fortemente conservatore - fanno sistema e possono presentare Torino-Subalpia come la metropoli per eccellenza dell' industrializzazione e dello sviluppo. Così in Omicron Torino diventa un modello generale, assumendo un'identità esemplare e per questa via quasi perde il proprio profilo più articolato, ridefinisce e schematizza la propria identità.
In Omicron Torino diventa la città-fabbrica, la città catena di montaggio, la città dormitorio dei manuali della sociologia dell'industrializzazione, ma anche la città di una micro-innovazione architettonica.